Il ruolo del gruppo nella formazione in Gestalt Counseling: apprendere dentro relazioni autentiche

Il ruolo del gruppo nella formazione in Gestalt Counseling: apprendere dentro relazioni autentiche

Dicembre 22, 2025 Off Di

La formazione in counseling è sempre più richiesta in Italia, sia da professionisti dell’aiuto sia da figure che operano nelle organizzazioni, nella scuola, nel sociale. In questo scenario, la Gestalt si distingue per un elemento centrale: il gruppo non è soltanto un contesto logistico dove “si tengono le lezioni”, ma un vero e proprio dispositivo formativo, il luogo vivo in cui si apprende il counseling attraverso relazioni autentiche.

Per chi sceglie un percorso in una scuola di Gestalt, in particolare per chi valuta una scuola Gestalt a Torino, comprendere il ruolo del gruppo significa capire cosa differenzia questa formazione da un corso teorico tradizionale. Il gruppo diventa laboratorio di consapevolezza, spazio di confronto trasformativo, palestra emotiva e relazionale in cui sperimentare in sicurezza ciò che poi verrà portato nella pratica professionale.

Scenario: perché il gruppo è tornato centrale nella formazione in counseling

Negli ultimi due decenni il contesto socio-culturale ha reso sempre più evidente un paradosso: iperconnessione digitale e solitudine percepita. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la solitudine cronica è oggi considerata un fattore di rischio per la salute mentale paragonabile, per impatto, ad altri determinanti sociali di rilievo. In parallelo, varie ricerche europee su benessere e lavoro evidenziano un aumento di stress, burnout e difficoltà relazionali nei contesti professionali.

Questa trasformazione tocca direttamente il counseling, nato per sostenere le persone nelle transizioni di vita, nelle crisi, nei processi di scelta. Cresce la domanda di competenze relazionali solide, di capacità di presenza, di ascolto profondo e di gestione dei conflitti. Non sorprende che le formazioni più ricercate siano quelle che valorizzano l’apprendimento esperienziale e interpersonale, invece di limitarsi a trasmettere modelli teorici o tecniche standardizzate.

La Gestalt, fin dalle sue origini nella seconda metà del Novecento, ha posto al centro il “qui e ora” della relazione. Il gruppo diventa l’ambiente privilegiato in cui osservare e trasformare le modalità con cui ci si mette in contatto con sé stessi e con gli altri. Nelle scuole di Gestalt, questo non è un elemento accessorio, ma il cuore del metodo didattico.

Il gruppo in prospettiva gestaltica: contatto, confine e responsabilità

Per comprendere il ruolo del gruppo nella formazione in Gestalt Counseling è utile richiamare alcuni concetti chiave della teoria della Gestalt. A differenza di altri orientamenti che mettono l’accento sull’individuo come “entità separata”, la Gestalt considera ogni persona in relazione costante con il proprio ambiente. Il luogo privilegiato di questa relazione è il confine di contatto: quella soglia sottile in cui l’“io” incontra il “tu”, in cui si negoziano distanza e vicinanza, autonomia e appartenenza.

In un gruppo formativo gestaltico, ogni interazione – uno sguardo, un silenzio, una resistenza, un conflitto – è materia viva su cui lavorare. Gli allievi imparano a riconoscere:

  • come entrano in contatto con le altre persone (in modo diretto o mediato, timido o invadente, controllato o impulsivo);

  • quali modalità ripetitive tendono a mettere in atto nei gruppi (adattamento eccessivo, isolamento, bisogno di controllo, ricerca continua di approvazione);

  • come queste dinamiche influenzano la qualità dell’incontro e dell’ascolto nella relazione di aiuto.

Questo lavoro non rimane sul piano dell’analisi cognitiva, ma passa attraverso l’esperienza immediata: cosa sta accadendo adesso, in questo gruppo, tra queste persone. L’attenzione al “qui e ora” permette di vedere in azione le resistenze al contatto e di trasformarle direttamente nella relazione, sostenendo la responsabilità personale: non “perché sei fatto così”, ma “cosa stai scegliendo di fare adesso in questo scambio?”.

Dati e trend: perché le competenze relazionali apprese in gruppo sono strategiche oggi

Negli ultimi anni, diversi report italiani e internazionali hanno evidenziato l’importanza crescente delle competenze trasversali, tra cui spiccano le abilità relazionali, l’intelligenza emotiva e la capacità di lavorare in gruppo. Secondo un’indagine di Unioncamere e ANPAL sui fabbisogni occupazionali, una quota significativa delle imprese italiane segnala la difficoltà nel reperire profili con adeguate soft skill, spesso più problematiche delle lacune tecnico-professionali.

A livello europeo, documenti della Commissione Europea sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente ribadiscono da anni il valore delle competenze sociali e civiche, dell’empatia e della gestione costruttiva dei conflitti. Nel campo specifico delle professioni d’aiuto, diverse associazioni e ordini professionali (in ambito psicologico, educativo e sanitario) sottolineano come la qualità della relazione sia un fattore determinante per l’efficacia dell’intervento, al di là del modello teorico di riferimento.

In Italia, la domanda di percorsi di counseling si è ampliata non solo nell’ambito psicologico in senso stretto, ma anche nei contesti scolastici, aziendali, sociosanitari e del terzo settore. Chi si forma oggi come counselor deve essere in grado di operare in ambienti complessi, spesso caratterizzati da stress elevato, conflittualità latente e richieste di cambiamento rapido. In questo contesto, l’apprendimento in gruppo consente di sviluppare competenze quali:

  • tolleranza dell’incertezza e della differenza di punti di vista;

  • gestione delle dinamiche di appartenenza ed esclusione nei gruppi reali;

  • capacità di stare in relazione anche quando emergono emozioni intense o scomode.

Numerose ricerche sulla formazione in counseling e psicoterapia evidenziano che chi ha sperimentato formazioni fortemente esperienziali e centrate sul gruppo riporta spesso una maggiore fiducia nelle proprie capacità relazionali e una minore sensazione di isolamento professionale rispetto a chi ha seguito percorsi prevalentemente teorici. Pur non essendo dati facilmente quantificabili in percentuali universalmente condivise, la convergenza di studi internazionali e osservazioni di prassi formative va in questa direzione.

Il gruppo come laboratorio di apprendimento esperienziale

Nella formazione in Gestalt Counseling, il gruppo viene strutturato come laboratorio, non come semplice platea. Questo comporta alcune scelte metodologiche precise.

In primo luogo, la didattica integra momenti teorici con esercitazioni pratiche, lavori a coppie o in sottogruppi, simulate di colloquio, esplorazioni corporee ed espressive. Il gruppo osserva, riceve e offre feedback, sperimenta direttamente come piccoli cambiamenti nel modo di porsi – nel tono di voce, nello sguardo, nella postura – modifichino radicalmente la qualità del contatto.

In secondo luogo, il gruppo è uno specchio: ciò che accade al suo interno riflette spesso pattern relazionali che gli allievi portano anche nella loro vita quotidiana e professionale. La differenza, rispetto a un gruppo “spontaneo” o casuale, è che qui il processo è accompagnato da formatori che conoscono la teoria e la prassi gestaltica e che sanno leggere e restituire le dinamiche in gioco, trasformandole in occasioni di apprendimento.

Un terzo elemento distintivo è la gradualità. Un percorso triennale o pluriennale permette di osservare nel tempo l’evoluzione del gruppo, con fasi di entusiasmo, di conflitto, di stallo, di ridefinizione. Gli allievi imparano a riconoscere come tendono a reagire alle fasi critiche: si ritirano, accusano, mediano, banalizzano? Lavorare su queste modalità nel contesto protetto della formazione significa arrivare più preparati a gestire situazioni analoghe nei gruppi di lavoro, nelle équipe, nelle famiglie, nelle classi.

Relazioni autentiche: cosa significa davvero in un gruppo formativo

Il termine “relazione autentica” è spesso utilizzato in modo generico, quasi come un’etichetta rassicurante. In Gestalt, invece, assume un significato operativo molto preciso. Autenticità non è “dire tutto ciò che passa per la testa” né “esprimere qualsiasi emozione senza filtro”. Un gruppo autentico in chiave gestaltica è un gruppo in cui ciascuno si assume la responsabilità del proprio sentire e del proprio comunicare.

Questo implica almeno tre dimensioni:

  • Consapevolezza: riconoscere ciò che si prova, qui e ora, distinguendo tra percezione effettiva e interpretazione. Ad esempio, “sento una tensione nello stomaco mentre ti ascolto” è diverso da “mi fai sentire a disagio”.

  • Dialogo: mantenere aperto il contatto anche quando emergono differenze, fraintendimenti, emozioni difficili. L’obiettivo non è evitare il conflitto, ma usarlo come occasione di esplorazione.

  • Limite: saper riconoscere e comunicare i propri confini, rispettando al contempo quelli degli altri. Autenticità non significa invasione, ma chiarezza rispettosa.

Nel gruppo di formazione, questi elementi vengono continuamente messi alla prova. Un commento percepito come giudicante, un momento di esclusione, un’alleanza rigida tra alcuni membri diventano occasioni per portare in figura ciò che spesso nei gruppi quotidiani rimane sullo sfondo: paure di non appartenenza, bisogno di riconoscimento, timore del rifiuto. Lavorare su questi aspetti permette ai futuri counselor di diventare più sensibili e responsabili nelle relazioni con i loro futuri clienti e con i sistemi in cui opereranno.

Rischi e criticità: cosa succede se il gruppo non viene curato

Se il gruppo è un potente strumento di apprendimento, è altrettanto vero che un gruppo non curato può diventare uno spazio confuso, talvolta persino dannoso. Esistono rischi specifici che vanno riconosciuti e gestiti.

Un primo rischio è quello della pseudo-intimità: si crea un clima apparentemente caldo e accogliente, ma privo di reale confronto. Tutti sembrano “andare d’accordo”, ma il gruppo evita sistematicamente il conflitto e le emozioni difficili. In questo caso, gli allievi non imparano a gestire le tensioni relazionali, ma solo a costruire armonie di superficie.

Un secondo rischio è l’eccessiva esposizione emotiva senza adeguato contenimento. Se il gruppo viene spinto verso rivelazioni personali profonde senza che vi sia un chiaro setting, una cornice etica e una guida competente, si possono attivare dinamiche di vulnerabilità non elaborate, che lasciano le persone confuse o sovraccariche. Ciò è particolarmente rilevante nelle formazioni in ambito psicologico, dove alcuni partecipanti possono portare storie complesse o traumi non ancora integrati.

Un terzo rischio riguarda le dinamiche di potere implicite. In assenza di una conduzione attenta, il gruppo può rinforzare ruoli stereotipati (il leader carismatico, il capro espiatorio, il mediatore permanente) senza offrirne alcuna elaborazione critica. Questo non solo non ha valore formativo, ma può cristallizzare copioni relazionali poco sani.

Infine, un rischio trasversale è quello della confusione di ruoli tra formazione, terapia e amicizia. Una scuola di Gestalt Counseling non è un gruppo terapeutico in senso stretto, né un gruppo di auto-aiuto, né un cerchio amicale informale. Se questo confine si sfuma eccessivamente, gli studenti possono perdere di vista che l’obiettivo principale è lo sviluppo di competenze professionali e di una postura etica nel ruolo di counselor.

Opportunità e vantaggi di una formazione centrata sul gruppo

Quando il gruppo viene strutturato e accompagnato con competenza, i vantaggi per chi si forma in Gestalt Counseling sono molteplici e profondi.

Da un punto di vista personale, il gruppo permette di ampliare in modo significativo la propria consapevolezza di sé. Invece di limitarsi a un’autosservazione interna, ciascuno riceve rispecchiamenti molteplici: come viene percepito dagli altri, quali aspetti emergono spontaneamente nella relazione, quali parti di sé tendono a essere nascoste o protette. Questo tipo di feedback, se inserito in una cornice di rispetto e responsabilità, accelera e approfondisce i processi di crescita.

Da un punto di vista professionale, l’esperienza ripetuta di stare in un gruppo consente di sviluppare competenze che saranno centrali nel lavoro come counselor:

  • la capacità di osservare e leggere le dinamiche di gruppo, utile quando si lavora con famiglie, équipe, classi, team aziendali;

  • l’abilità di mantenere una posizione di presenza e ascolto anche quando il clima è teso o confuso;

  • la competenza nel dare e ricevere feedback in modo chiaro, non violento e non difensivo.

Inoltre, il gruppo formativo diventa nel tempo una comunità di pratica. Gli allievi imparano non solo dal formatore, ma gli uni dagli altri, attraverso lo scambio di esperienze, l’osservazione di stili diversi di presenza, la condivisione di successi e difficoltà nei primi passi professionali. Questo contribuisce a ridurre la sensazione di isolamento che a volte accompagna chi opera nel campo della relazione d’aiuto.

Infine, un gruppo coeso e autentico può fornire un modello interno di riferimento: chi si è formato in un contesto in cui è stato possibile sperimentare fiducia, responsabilità e confronto aperto tenderà a portare questi stessi valori nei gruppi che condurrà in futuro, nei contesti in cui opererà come counselor o facilitatore.

Profili normativi e quadro di riferimento per il counseling in Italia

Per comprendere il ruolo del gruppo nella formazione è utile anche avere un quadro essenziale del contesto normativo italiano. Il counseling in Italia rientra nell’ambito più ampio delle professioni non organizzate in ordini o collegi, così come disciplinato dalla legge 4/2013. Questa legge riconosce e dà un inquadramento alle attività professionali che non sono oggetto di regolamentazione specifica tramite ordini professionali, ma non costituisce un albo pubblico né una riserva di attività.

Le associazioni professionali di categoria in ambito counseling hanno elaborato propri standard formativi, che spesso prevedono percorsi pluriennali con un numero minimo di ore tra teoria, pratica, tirocinio e supervisione. In molti di questi standard, il lavoro personale in gruppo è considerato componente irrinunciabile, al pari delle ore di didattica frontale.

Pur non esistendo in Italia un’unica normativa statale che regolamenta la professione di counselor nella stessa forma con cui sono regolamentati, ad esempio, psicologi o medici, si è sviluppato nel tempo un insieme di buone prassi e riferimenti deontologici che pongono grande attenzione alla qualità della formazione. In questo quadro, il gruppo non è un semplice dispositivo didattico, ma un ambito che richiede competenza specifica di conduzione, tutela della privacy, chiarezza dei ruoli e rispetto dei confini tra formazione, supervisione e sostegno personale.

Per chi sceglie una formazione in Gestalt Counseling, è importante verificare che la scuola:

  • abbia un progetto formativo coerente e dichiarato in cui il ruolo del gruppo sia esplicitato;

  • preveda formatori con esperienza sia clinica sia didattica nella conduzione di gruppi;

  • abbia un codice etico chiaro e procedure definite per la gestione di criticità relazionali all’interno dei gruppi.

Indicazioni operative per chi valuta una scuola di Gestalt centrata sul gruppo

Per chi sta considerando un percorso in Gestalt Counseling, alcuni elementi possono aiutare a valutare in modo più consapevole l’offerta formativa, soprattutto quando il gruppo è indicato come perno della metodologia.

In primo luogo, è utile chiedere come viene strutturato concretamente il lavoro di gruppo: con quale frequenza si incontrano i gruppi, quale è il numero medio di partecipanti, come viene garantito uno spazio di elaborazione dopo le esperienze più intense, come vengono integrati nel gruppo i nuovi iscritti rispetto a chi prosegue il percorso da anni precedenti.

In secondo luogo, può essere importante esplorare come la scuola affronta i momenti di crisi di gruppo: sono considerati “incidenti di percorso” da gestire rapidamente, o vengono riconosciuti come parte integrante del processo formativo? In una prospettiva gestaltica, le fasi di disaccordo, confusione e ridefinizione del gruppo sono spesso le più fertili, a condizione che vi sia una conduzione sufficientemente solida.

Un ulteriore elemento operativo riguarda lo spazio dato ai feedback reciproci. I futuri counselor beneficiano enormemente di un contesto in cui imparare a dare e ricevere feedback sul proprio modo di stare in relazione. Nella valutazione di una scuola, può essere utile capire se questo aspetto è lasciato all’improvvisazione o se esistono momenti strutturati di scambio, accompagnati da indicazioni chiare su come restituire ciò che si osserva senza giudizio e senza confondere le proprie proiezioni con fatti osservabili.

Infine, è rilevante interrogarsi sul proprio modo personale di stare nei gruppi. Alcuni candidati arrivano alla formazione con esperienze difficili alle spalle: bullismo scolastico, dinamiche familiari complesse, conflitti lavorativi nei team. In questi casi, il gruppo formativo può riattivare ricordi e schemi di difesa. Una buona scuola riconosce questa possibilità e prevede spazi di accompagnamento che permettano di trasformare queste riattivazioni in occasioni di elaborazione e crescita, non in fonte di ulteriore sofferenza.

FAQ: tre domande frequenti sul gruppo nella formazione in Gestalt Counseling

Il gruppo può sostituire un percorso personale individuale?

No. Il gruppo formativo è uno strumento potente, ma non sostituisce un percorso individuale di counseling o psicoterapia quando questo è necessario. Nella formazione in Gestalt Counseling, lavoro personale individuale e lavoro di gruppo sono spesso complementari: il primo permette un approfondimento mirato su temi specifici, il secondo consente di vedere come questi temi si esprimono nelle relazioni reali.

Cosa succede se nel gruppo non mi sento subito a mio agio?

È frequente che nei primi incontri emerga una certa tensione o timidezza. Il senso di sicurezza nel gruppo non è dato una volta per tutte, ma si costruisce nel tempo, attraverso la chiarezza del setting, il rispetto dei confini e la gradualità nell’esposizione personale. Anche la difficoltà iniziale può diventare materiale di lavoro: osservare come ci si muove in un ambiente nuovo e sconosciuto è già un primo passo di consapevolezza.

Il lavoro di gruppo è utile anche per chi intende operare in contesti non clinici, ad esempio in azienda o a scuola?

Sì. Le competenze sviluppate nel gruppo formativo – gestione delle dinamiche di gruppo, ascolto attivo, capacità di negoziare differenze e conflitti, consapevolezza dei propri pattern relazionali – sono estremamente trasferibili in contesti organizzativi, scolastici e sociali. Chi lavora in ruoli educativi, di coordinamento o di gestione del personale può trarre particolare beneficio dall’aver sperimentato in prima persona cosa significa facilitare e sostenere un gruppo in modo consapevole.

Conclusione: il gruppo come luogo in cui apprendere a “stare con”

Il ruolo del gruppo nella formazione in Gestalt Counseling non è accessorio né meramente organizzativo. È il contesto privilegiato in cui si impara, in modo concreto, cosa significa “stare con” un’altra persona e con un insieme di persone in modo consapevole, responsabile e autentico. In una società segnata al tempo stesso da connessioni continue e da diffuse esperienze di solitudine relazionale, la capacità di coltivare gruppi vivi, pensanti e capaci di contatto profondo diventa una competenza professionale e umana di primo piano.

Per chi sceglie una formazione in Gestalt, orientare la propria ricerca verso percorsi che valorizzano il lavoro di gruppo significa investire non solo nella conoscenza di teorie e tecniche, ma nella costruzione di un modo di essere in relazione che potrà incidere, in modo concreto, sulla qualità dei contesti in cui si opererà: studi professionali, scuole, servizi sociali, organizzazioni, comunità. È all’interno di queste relazioni autentiche che il counseling gestaltico trova la sua forza trasformativa più profonda.